Archivio mensile:dicembre 2010

E intanto il maestro Jeunet non sbaglia un film

Vi avverto che sto per scrivere un articolo serio, non la solita polemica da bar; vorrei parlarvi di cinema.

Andare al cinema per me è un’esperienza, lo è sempre stata. Non è un passatempo, come viene considerato da molti, dove mangiare pop corn, appoggiare i piedi sullo schienale della sedia di fronte e guardare “spam movie” come American Pie, o per rimanere in patria natìa, il cinepanettone dell’anno. Al cinema non guardi solo un film, guardi il prodotto di un lavoro durato almeno un anno fatto di scelte di luci, colori, suoni, voci, persone, luoghi. Ma per arrivare a vedere tutto questo sono necessari anche i Vanzina & Co, non puoi certo spacciarti per cinefilo solo perchè hai visto la trilogia “Tre colori” di Krzysztof Kieślowski, assolutamente no, un intenditore di cinema non deve essere snob, ma deve essere aperto a tutti i generi e deve saper cogliere il buono e il cattivo di ogni pellicola.

Comunque, tornando a bomba, volevo parlarvi dell’ultimo film del regista francese Jean-Pierre Jeunet, “L’esplosivo piano di Bazil”, in visione nelle sale italiane in questi giorni. Ancora una volta una storia al limite del surreale, un continuo intrecciarsi di situazioni studiate e incastonate alla perfezione, il tutto condito con una punta di messaggio umanitario, buttato lì, tra il serio e il faceto. Il protagonista Bazil, per una serie di sfortunati eventi si ritrova una pallottola in testa e sempre per una serie di eventi questa volta però fortunati si imbatte in un gruppo di clochards decisamente sopra le righe che lo aiuteranno nella realizzazione di un piano per “punire” i due più grandi produttori di armi di Francia.

La scena si svolge praticamente su due piani: un piano “sotterraneo”, dove vivono i clochards, un chiaro omaggio a “Delicatessen” non solo per l’assortimento dei personaggi ma anche per l’ambientazione, tra il lugubre e il futurista, e per i colori della fotografia, dal terra di siena al mattone al giallo ocra.

una scena del film

Il piano superiore, quello esterno, quello della città, riporta tanto i toni complementari di “Amelie”, il giallo, il rosso e il verde, ma soprattutto i  leitmotiv di Jeunet: il motorino scassato, il sexy shop, la stazione, i proverbi, che hanno la funzione di fil rouge di tutto il film in una Parigi favoleggiante. Il risultato: un film dinamico, circense, divertente e creativo, sorprendente e romantico, ma un romanticismo pulito, quello che a fatica sopravvive, nonostante tutto.

Grazie maestro Jeunet, perchè riesce ancora a farci sognare e lei lo sa che ne abbiamo bisogno.

La teoria dell’evoluzione della specie, alquanto rivista e decisamente scorretta

una recente rappresentazione di un "trenino samba"

Chiedo venia per il lungo silenzio dei giorni passati. No, non mi sono suicidata per l’eccesso di tristezza causato dal Natale e no, non ero nemmeno a corto di tematiche, se qualcuno ha per caso osato insinuarlo. Al contrario, ne ho fin troppe, di tematiche da analizzare, ma d’altronde, come si fa a vivere in questo nostro pacchianissimo Paese senza avere argomenti di discussione?

Per esempio: Paolo Fox, l’oracolo del nuovo millennio, dice sempre che noi dell’Acquario odiamo le feste comandate e i conformismi. Ebbene, da buon Acquario, a tre giorni dalla fine dell’anno, mi trovo a chiedermi: ma perchè un viaggio di nozze non è un vero viaggio di nozze se non si va in Polinesia, l’8 marzo non è un vero 8 marzo senza uno spogliarello e Capodanno non è Capodanno se non si fa il “trenino samba”?

Tra l’altro, non so se avete mai visto dal vivo un trenino samba. Beh, ve lo racconto io. La storia ha inizio con un’avvenente quarantacinquenne in tubino nero paillettato che in maniera conturbante si avvicina al deejay o musicista da pianobar di turno per effettuare una richiesta. Ecco, è l’inizio della fine. La donna chiede qualcosa di un po’ più movimentato, esattamente allo scadere della mezzanotte, e il deejay, prevedibile come una multa in divieto di sosta, propone la sequenza classico-standard: “YMCA” dei Village People, “I will survive” di Gloria Gaynor, e lui, “Disco samba” dei Two Man Sound del 1978.  L’unico pezzo al mondo capace di trasformare anche il più rispettabile degli ingegneri in un esemplare ormai estinto di Orangutan ballerino. Le mani si incollano alle spalle del dirimpettaio, le anche si divincolano, le labbra si cementano nel più ebete dei sorrisi.

La mutazione è avvenuta.

Ancora una volta sono costretta a dire: Darwin, mi dispiace deluderti, ma dove l’avevi vista tu l’evoluzione?

La pupa e la radical, un nuovo reality

Karl Marx, filosofo

Ieri sera al programma “Victor Victoria”, in onda su La7, c’erano ospiti Elisabetta Gregoraci e Concita de Gregorio.

Un ossimoro.

Non ho mai visto due esseri umani così agli antipodi fra di loro posizionati uno di fianco all’ altro. Lo storico binomio televisivo più vecchio di Noè della bionda e la bruna completamente ribaltato, Marilyn Monroe e Jane Russell al contrario. In questo caso però è meglio, e spero, che gli uomini preferiscano le bionde, anche se mi meraviglio da sola a dirlo. Concita raffinata, forse spesso un po’ snob, giornalista e scrittrice, direttore de L’Unità, eccetera eccetera. Elisabetta mai uscita dagli anni ’90, vestita come Julia Roberts nella locandina di Pretty Woman, quindi vi lascio immaginare l’eleganza e la sobrietà, da ballo delle debuttanti.

La conduttrice propone il gioco “Celo Manca”. Ad un certo punto cita Marx. Concita risponde celo, Elisabetta non aveva capito nemmeno di chi si stesse parlando. Concita come una compagna di banco le sussurra all’orecchio la soluzione, cioè Marx il filosofo, cosicchè Elisabetta folgorata sulla via di Damasco possa rispondere: “ah no, manca proprio”.

Ora, ho sempre pensato che quell’imbarazzante programma dal titolo “La pupa e il secchione” fosse tutta una montatura, nel senso, quelle povere ragazze scosciate almeno la licenza media l’avranno avuta, quindi faccio veramente fatica a credere che non fossero nemmeno in grado di riconoscere un’immagine di Garibaldi, piuttosto che di Hitler. Nel sussidiario delle medie la seconda guerra mondiale c’è.

E invece mi sa proprio che sia possibile. Quindi si può vivere bene anche senza sapere nulla di Carlo Marx? Direi proprio di sì anche perchè mi sembra piuttosto evidente come   Elisabetta Gregoraci viva molto meglio di una come me che invece ha sempre pensato che fosse assolutamente necessario conoscere Marx come tanti altri. Ma dov’è che ho sbagliato?

Con questo non voglio assolutamente mettere in dubbio le possibili sfaccettature della cultura di Elisabetta, cioè, il buon vecchio Flavio sicuramente le avrà insegnato un sacco di cose sulla Formula 1, per esempio, che io invece non so. Inoltre lei è già madre di un  bambino, mentre io no, nonostante sia più vecchia di lei di due anni.

Però io forse un domani, chissà, potrei anche diventare madre. Ma Elisabetta andrà mai su Wikipedia a vedere chi cazzo è ‘sto Marx?

L’amore, il Natale e Paolo Fox

L'astrologo Paolo Fox

Piccola divagazione prenatalizia, così, per dare aria alla bocca come si è soliti dire.

Cammino per le strade della città in cui vivo, percepisco amore, gioia e smania di fare acquisti. Dov’è la novità vi starete chiedendo?

Appunto, non c’è. Il copione da seguire è quello: ci si veste con sciarpe e cappotti, si passeggia per il centro, si guardano le vetrine, si beve una cioccolata in tazza, si chiacchiera, si fanno incontri, si ride, e “buoni acquisti allora, dai ci sentiamo magari, eh?”. Non so cosa pretendo di vedere a volte uscendo di casa. E’ come quando mi sveglio alla mattina contenta perchè è iniziato un nuovo giorno e io mi aspetto sempre che mi succeda chissà cosa, di incontrare chissà chi, di ricevere chissà quale fantastica proposta. A volte mi aspetto addirittura di dover improvvisamente prendere il treno e partire, per dove non lo so, ma sicuramente per un’avventura piena di emozioni. La stessa cosa faccio quando esco di casa. Mi avvio verso il centro e nel frattempo spero di vedere.. cosa? Babbo Natale che fa bancomat? Charlie Parker che suona in via Mazzini e tutti che gli lasciano una moneta, senza ovviamente sapere chi sia? Gandhi nel negozio della Telecom? La pista di ghiaccio del Rockfeller Center al posto della stazione delle corriere?

Vivere con delle aspettative molto alte è impegnativo, ma vivere sognando lo è ancora di più. Lo dico senza vergogna, a volte invidio le persone più, come dire, semplici. Quelle che per Natale si regalano il buono da spendere da Zara, o se vogliono proprio stupire la Wii Fit. Quelle.

Quelle che “mi basta avere il posto fisso, il mio lavorino, alla fine faccio le mie ore e vado a casa, tanto basta che mi arrivi lo stipendio a fine mese”.

Quelle.

Quelle che “cioè piuttosto che buttare via i soldi in un affitto sto dai miei finchè non posso comprarmela, la casa, tanto poi mi aiutano, i miei, anche perchè io con il mio stipendio non ce la faccio mica da sola, cioè come faccio?”.

Già…come fai?

Comunque. Quelle. Sono le mie preferite e io le invidio, lo giuro. Infatti ho pensato di chiedere a Babbo Natale di farmi diventare come loro, anzi, penso che lo chiederò a Paolo Fox. Che è un po’ il Babbo Natale di quelle come me.

Grande Fratello, fucina di cervelli

Complimenti davvero alla qualità impeccabile delle proposte televisive italiane. Il modo migliore per creare il vuoto nei cervelli di chi guarda. Come non apprezzare i concorrenti del Grande Fratello che lanciano per aria galline vive o progettano di regalare uccellini morti alle compagne di casa. .Tra l’altro sono dimostrazioni di una forza fisica invidiabile di queste persone e un coraggio da leoni, davvero, non riesco ad immaginare persona più impavida del belloccio di turno a neuroni zero che prende una povera gallina e la lancia facendola sbattere violentemente a terra. Che seducente dimostrazione di virilità. Mi ricorda tanto un altro testosteronico “Braveheart” simile che qualche settimana fa ha preso a calci un gatto spezzandogli la spina dorsale.

Il popolo italiano continua imperterrito a gareggiare per raggiungere il primato di civiltà; questo accanimento contro gli animali mi rende talmente orgogliosa, così fiera di appartenere ad un a razza che nei secoli si è distinta nella cultura e nelle arti che mi sorge spontaneo un quesito: ma cosa cavolo ce ne facciamo di persone così al mondo?

Un’altra domanda: i vari comitati mammologici pullulanti di cinture nere di catechismo, bigottismo e finto moralismo dove sono in questi momenti di altissima televisione? Ci preoccupiamo solo di preservare i nostri figli da classi multietniche per paura che possano imparare una lingua diversa dal dialetto locale tanto protetto ma il pensiero che i nostri bambini possano vedere alla televisione un branco di lobotomizzati che giocano al lancio del piattello con degli esseri viventi non ci tange minimamente?

Che classe.

Fast food, fast technologies, fast love

Ronald McDonald's

Non vorrei sembrare subito l’ennesima moralista anacronistica che apre un blog, per carità, sarebbe davvero il peggior modo per presentarsi. Ma l’epoca delle passioni tristi, e mi si conceda la citazione,  mi ha ormai fornito talmente tanti spunti di riflessione che ho sentito la necessità di condividerli con chiunque vorrà soffermarsi su quanto sto scrivendo. Ad esempio, prendiamo il recente avvenimento che ha sconvolto la vita di milioni di italiani: non sto parlando nè del delitto di Avetrana nè tantomeno della scomparsa della 13enne Yara. Mi riferisco all’avvento nelle nostre case del digitale terrestre. La sola e unica cosa che è riuscita a mandare in tilt generazioni e generazioni, nemmeno la grande guerra è riuscita a scatenare un tale bisogno estremo di correre ai ripari per essere preparati alla nuova sfida. Centinaia di negozi sono stati presi d’assalto per acquistare l’ultimo modello di tv al plasma disponibile sul mercato, gli antennisti sono oberati di prenotazioni fino ad almeno natale del 2036 e tutto questo per cosa? Per paura di rimanere senza televisione qualche ora? Vorrei sottolineare tra l’altro che tutte queste persone possedevano già un televisore e che sarebbe stato sicuramente sufficiente acquistare un decoder da 20 euro e una presa scart. Ma no, il consumismo si impossessa di noi e della nostra mente spingendoci a non accontentarci del vecchio, a desiderare sempre di più, sempre più inutile.

Credo che tutto ciò vada poi a riflettersi sui sentimenti. Fast love, amori brevi, a scadenza, da consumarsi preferibilmente entro al massimo tre anni di matrimonio. Sì perchè sono sempre più frequenti discorsi tipo: “l’amore non esiste, l’amore non è eterno, finisce quindi tanto vale non cominciare neanche” eccetera eccetera. Quindi i nostri genitori che sono sposati da oltre quarant’anni sono una razza in via di estinzione? Il bisogno di superfluo ha intaccato anche la nostra visione dell’amore, le coppie scoppiano, al primo problema si abbandona la barca, avanti il prossimo. Perchè riparare un televisore vecchio quando è così facile andare alla Comet e comprarne uno nuovo? Perchè cercare di salvare un rapporto di coppia quando è così semplice tornare ognuno a casa propria, dalla propria mamma?

Alla fine i tanto bistrattati fast food sono, nella categoria dei “fast”, gli unici che si salvano. Fondamentalmente sono un pasto caldo a qualsiasi ora del giorno e per quanto possano essere discutibili gli ingredienti dei panini del McDonald’s permettono a tanti di noi di viaggiare da turisti anche con le tasche vuote.

Quindi evviva le principesse che credono nelle favole e, sì, mi piacciono le tv con il tubo catodico. E allora?