Vi avverto che sto per scrivere un articolo serio, non la solita polemica da bar; vorrei parlarvi di cinema.
Andare al cinema per me è un’esperienza, lo è sempre stata. Non è un passatempo, come viene considerato da molti, dove mangiare pop corn, appoggiare i piedi sullo schienale della sedia di fronte e guardare “spam movie” come American Pie, o per rimanere in patria natìa, il cinepanettone dell’anno. Al cinema non guardi solo un film, guardi il prodotto di un lavoro durato almeno un anno fatto di scelte di luci, colori, suoni, voci, persone, luoghi. Ma per arrivare a vedere tutto questo sono necessari anche i Vanzina & Co, non puoi certo spacciarti per cinefilo solo perchè hai visto la trilogia “Tre colori” di Krzysztof Kieślowski, assolutamente no, un intenditore di cinema non deve essere snob, ma deve essere aperto a tutti i generi e deve saper cogliere il buono e il cattivo di ogni pellicola.
Comunque, tornando a bomba, volevo parlarvi dell’ultimo film del regista francese Jean-Pierre Jeunet, “L’esplosivo piano di Bazil”, in visione nelle sale italiane in questi giorni. Ancora una volta una storia al limite del surreale, un continuo intrecciarsi di situazioni studiate e incastonate alla perfezione, il tutto condito con una punta di messaggio umanitario, buttato lì, tra il serio e il faceto. Il protagonista Bazil, per una serie di sfortunati eventi si ritrova una pallottola in testa e sempre per una serie di eventi questa volta però fortunati si imbatte in un gruppo di clochards decisamente sopra le righe che lo aiuteranno nella realizzazione di un piano per “punire” i due più grandi produttori di armi di Francia.
La scena si svolge praticamente su due piani: un piano “sotterraneo”, dove vivono i clochards, un chiaro omaggio a “Delicatessen” non solo per l’assortimento dei personaggi ma anche per l’ambientazione, tra il lugubre e il futurista, e per i colori della fotografia, dal terra di siena al mattone al giallo ocra.
Il piano superiore, quello esterno, quello della città, riporta tanto i toni complementari di “Amelie”, il giallo, il rosso e il verde, ma soprattutto i leitmotiv di Jeunet: il motorino scassato, il sexy shop, la stazione, i proverbi, che hanno la funzione di fil rouge di tutto il film in una Parigi favoleggiante. Il risultato: un film dinamico, circense, divertente e creativo, sorprendente e romantico, ma un romanticismo pulito, quello che a fatica sopravvive, nonostante tutto.
Grazie maestro Jeunet, perchè riesce ancora a farci sognare e lei lo sa che ne abbiamo bisogno.