Archivio mensile:ottobre 2012

Garrone, Never Give Up

“Voglio diventare ricca e famosa”.

Ma conterà di più il fattore ricchezza o il fattore fama? Nella scala delle aspettative umane, è la fama a rappresenterare la priorità assoluta o la ricchezza? Una volta si diceva che i soldi non danno la felicità ed è vero, anzi pare che un recente studio condotto da un’università americana, uno di quegli studi a impatto zero che tengono impegnati gli stagisti dei vari atenei per un buon decennio, abbia rilevato che la fetta di popolazione alla quale veniva aumentato lo stipendio non diventava però più felice. I soldi possono dare tranquillità, ma non felicità, non soddisfazione. Quindi nel binomio ricca-famosa, temo proprio vinca la seconda. Eh sì, è la fama che bramano gli italiani, o forse l’uomo in generale.

In the future, everyone will be world-famous for 15 minutes”. Così profetizzò Andy Wahrol nel 1968: ognuno avrà il suo quarto d’ora di celebrità. Senza stare tanto a specificare in che modo la gente in questi anni abbia deciso di guadagnarsi questo quarto d’ora (c’è chi sceglie di aggiudicarsi la prima pagina della cronaca nera, ma di questo ne parlano già abbastanza alcune testate decisamente note del nostro Paese…), all’italiano medio credo importi più la fama, perchè poi la ricchezza viene di conseguenza, mentre al contrario, uno può anche diventare ricco ma senza essere un personaggio conosciuto dal grande pubblico.

Torniamo indietro di una decina d’anni circa, quando venne trasmessa la prima edizione del Grande Fratello: una decina di signori nessuno vengono improvvisamente sottoposti ad un tre mesi di telecamere 24 ore su 24. Forse l’unica edizione dove davvero i concorrenti erano “veri”: essendo i primi forse non potevano quantificare il grado di celebrità che avrebbero raggiunto, usciti dalla casa. Negli anni, molti di quei signori nessuno sono poi tornati ad essere dei signori nessuno, ma alcuni hanno guadagnato una ingiustificata e sopravvalutatissima fama: prime pagine dei rotocalchi, serate nei locali alla moda, partecipazione a talk show, piccole parti in film o telefilm, ecc…I concorrenti del Grande Fratello sono a tutti gli effetti Vip e in quanto Vip, sono ricchi. Tralasciando fenomeni come Luca Argentero e il povero Pietro Taricone che sono poi emersi come attori, avendo delle capacità, gli altri sono perlopiù personaggi che passano da uno studio televisivo ad un altro e da un reality ad un altro, così, per far passare la giornata.
Ma per alcuni, la vita dei concorrenti del Grande Fratello è il sogno.

Per Luciano ad esempio, protagonista di Reality, film di Matteo Garrone vincitore, meritatamente, del Grand Prix de Cannes: da come guarda trasognato Enzo, concorrente partenopeo del Grande Fratello, ora prezzemolino dei matrimoni più in pompa magna che esistano in tutta Napoli e Provincia, si evince il suo desiderio recondito di essere come lui, così osannato, così ammirato da tutti. Lui che di simpatia ne ha, di personalità anche, forse molto più di Enzo, ma che per il momento si limita a fare il pescivendolo e a tempo perso la Drag Queen per fare un po’ scena alle cerimonie. Certo che un’eventuale partecipazione al reality più famoso d’Italia lo farebbe entrare nell’Olimpo: non avrebbe più bisogno della Pescheria e nemmeno delle piccole truffe condotte tramite false vendite di “robottini” multifunzione domestici. Incitato dallo slogan di Enzo, “never give up”, non mollare mai, non abbandonare mai i tuoi sogni, Luciano ci prova e arriva alla seconda selezione. L’illusione ormai è in atto e l’aspettativa della terza e ultima chiamata, quella definitiva che decreterà ufficialmente il suo ingresso nella casa, diventa una vera e propria ossessione, una malattia.

Esagerazione? Falsificazione di stereotipi italiani? Credo che Matteo Garrone ci abbia già ampiamente dimostrato la sua capacità di delineare ritratti spietatamente italiani, ma questa volta la sua maestria è andata oltre, oltre Gomorra: il film è un continuo altalenarsi di momenti estremamente comici, grotteschi e situazioni amare, sinceramente commoventi. Il personaggio di Luciano intenerisce quasi, poichè il suo intento è comunque lo stesso di tanti di noi: sistemarsi nel modo più veloce e semplice possibile, vivere agiatamente, essere l’idolo di tutti, conferire importanza alla propria famiglia. La strada del sacrificio è ormai superata, la vita ci insegna a cercare le vie più brevi: questo è il popolicchio, questa è l’Italia, che ci piaccia o no, non è altro che quello che siamo e abbiamo voluto essere, sempre. La profondità dei personaggi, il loro profilo psicologico, emerge semplicemente da questi sguardi, lunghissimi, sui quali il regista si sofferma; spesso non servono parole per capire quanto possa essere importante per un uomo l’applauso corale dei vicini di casa che lo accolgono al suo ritorno da Roma, quanto un eroe di guerra al rientro dall’Afghanistan. L’atmosfera è quasi fiabesca, un racconto di una favola: c’è tanto Tim Burton, in tutto questo, ma anche tanto Fellini, il maestro del sogno, delle situazioni oniriche volutamente ambigue. Il tutto enfatizzato dalla meravigliosa colonna sonora di Alexandre Desplat, già Harry Potteriano, già New Mooniano, abituato quindi a rendere l’idea della vita magica, come lo può essere in questo caso quella vissuta all’interno della casa.

Che sia o no magia, realtà o finzione, Luciano poi alla fine ci entra, nella casa, a modo suo. Senza nemmeno avere il timore di essere nominato.

Never give up, Matteo. Never give up.

A love story. Capitolo 7: Come Marquez insegna

“Fermina” le disse, “ho atteso questa occasione per oltre mezzo secolo, e adesso voglio ripeterle ancora una volta il giuramento della mia fedeltà eterna e il mio amore perenne.”

Gabriel Garcia Marquez, L’amore ai tempi del colera

Dopo il sushi del venerdì e il brunch della domenica, adesso è il momento dell’ Apericena, connubio prenotturno ludico-mangereccio volto a unire contemporaneamente due momenti della giornata: l’aperitivo e la cena, in un unico appuntamento che solitamente si svolge tra le 18.30 e le 22.30 segnato dalla presenza di drink annacquati molto poco dissetanti e da stuzzichini ipercalorici, dove per “stuzzichini” comunque si comprende sia la ciotolina di olive, sia la teglia di pasta al forno. Ho visto locali servire fagioli e salsiccia in umido, assieme agli spritz. Ma andiamo avanti. Si chiama quindi apericena in quanto il motto è sempre e comunque “basta che se magna e se beve”, col vantaggio che con soli 7-8 euro hai risolto il problema della cena e anche del dopocena, non ti sei impigrito a casa tornato dal lavoro dopo la doccia ma non hai nemmeno fatto le ore piccole. Insomma, l’apericena è la soluzione perfetta sia per chi ha difficoltà nell’aprire il portafogli, sia per chi lavora tutto il giorno come un mulo e la sera non ha quasi mai voglia di uscire, ma preferisce mangiare cibi surgelati sul divano e addormentarsi con la sigla di apertura de L’Infedele di Gad Lerner. Ovviamente, amo frequentare l’apericena perchè è un’ottimo momento per origliare e sbirciare nelle vite degli altri, gli altri che arrivano all’apericena stanchi e stressati, vessati dal capo, provati fisicamente e psicologicamente e quindi propensi all’alcol. In vino veritas e l’apericena è il modo migliore per farsi raccontare particolari unici di storie d’amore che poi io andrò immediatamente a raccontare nel mio blog. Questa è filantropia, chiamatela come volete ma è così.

Conosco A. da quasi vent’anni e di confidenze me ne ha fatte, con o senza apericena di mezzo. Dieci anni fa circa, A. vede B. e ha un qualcosa che potrebbe somigliare ad un colpo di fulmine: vorrebbe subito chiederle un appuntamento, ma purtroppo B. è impegnata da un po’ di tempo con un tale amico tra l’altro di A. Croce sopra, si direbbe, anche perchè non si conoscevano, non si erano mai visti, quindi non potevano sapere, al momento, se sarebbe potuto nascere qualcosa. I romantici direbbero ovviamente che era già amore, ma come possiamo dirlo noi, noi che viviamo nel mondo del fast and furious e che assistiamo quotidianamente alla distruzione di relazioni apparentemente inossidabili? Comunque, non ci sono stati pianti, disperazioni, digiuni o nulla di simile a quei sintomi inconfondibili che il grande Marquez chiama “gli stessi del colera”. Gli anni passano quindi, quasi dieci e ad A. viene riferito che B. aveva rotto col tizio e che quindi come si suol dire “era tornata sulla piazza”. Non ci pensa un secondo. A. chiede il suo numero e la invita ad uscire. Sono passati quasi due anni da quella volta: ora A. e B. stanno insieme e sono in procinto di andare a convivere. Si potrebbe riassumere il tutto con pochissime parole: una fortunata combinazione di eventi. Ma se questo non fosse successo, se B. fosse rimasta con l’altro, come sarebbero andate le cose? Quello che noi chiamiamo destino, è ciò che ci permette di incontrare la persona giusta al momento giusto? Ma la persona giusta, se gli eventi ci si mettono contro, la si può incontrare comunque?

Vi faccio un altro esempio. M. e L. si conoscono da tantissimi anni; M. è innamoratissima di L. e tenta in vari modi di corteggiarlo, ma L. pare proprio non essere interessato ad M. Sembrerebbe un semplicissimo caso di cotta adolescenziale a senso unico, questa. Se non fosse che gli anni passano, M. conosce altre persone che sembrano averle fatto dimenticare L.: decide di andare a convivere in un’altra città, molto lontana, lontana da L. Sembravano ormai aver preso strade diverse, ma L. e M. si ritrovano casualmente assieme ad altri amici in vacanza in Sardegna e lì, proprio lì, nasce l’amore. M. e L. ora sono sposati e stanno per avere un bambino.

Se la persona è quella giusta, il momento potrebbe essere sbagliato. Potremmo quindi non accorgercene subito, ma allora come si fa? Pare ci venga data una seconda chance, a questo punto. Marquez parlerebbe di attesa, che per lui può essere addirittura di mezzo secolo, ma che si aspetti o meno, che ci si faccia i fatti propri nel frattempo, che si vada a vivere dall’altro capo del mondo, il finale è sempre lo stesso: se è destino che ci si incontri o che ci si rincontri, prima o poi accade. Una mia compagna di classe delle superiori è tornata con il suo ex di quando avevano 14 anni, dopo vent’anni…Non si tratta di aspettare, alla fine. E non parlatemi dei soliti Big e Carrie perchè loro non fanno testo, anche se sono un perfetto esempio del concetto “il destino ci ha fatti incontrare, e cascasse il mondo prima o poi staremo assieme”. Aspettare non è sano, genera aspettative, appunto. Fermina si era immaginata chissà quale Adone ma poi quando ha visto Florentino, la delusione l’ha fatta scappare.

Il segreto è cogliere l’attimo, come sempre. Conservare l’incontro, magari non pensarci più per anni. Ma se qualcosa vi dice, anche se il tempo trascorso è tanto, veramente tanto, che ne vale ancora la pena, conoscere e frequentare quella persona che anche solo per pochi secondi aveva attraverato la vostra vita nel momento sbagliato, ascoltatelo. Potreste pentirvene, pentirvi di non aver vissuto, di non aver condiviso. E non c’è nulla di più brutto del rimpiangere un qualcosa che per vari motivi, non si ha avuto la possibilità di conoscere. Carrie alla fine ci ha creduto. Fatelo anche voi.