Shakespeare li ha fatti morire tutti

Morire, dormire…nulla più. E dirsi così

con un sonno che noi mettiamo fine

al crepacuore ed alle mille ingiurie

naturali, retaggio della carne!

Hamlet, atto III, scena 1

Riflettevo con una mia amica ieri sera leggendo il monologo di Mercuzio sulla Regina Mab e pensavo al fatto che gli amori raccontati da Shakespeare sono tutti, inguaribilmente strazianti. L’amore è sofferto, agognato, persino in “Molto rumore per nulla” prima di trionfare passa attraverso l’atroce dubbio, la gelosia, il tormento e la rabbia. Normale amministrazione? Diciamo che Shakespeare è l’indiscusso poeta dell’amore e pare conoscesse davvero bene le dinamiche di questo sentimento che alimenta la nostra vita. Vivere d’amore vuol dire mettere in conto anche una buona parte di tempo passata a soffrire in maniera inenarrabile, a piangere, a dimenarsi, ad augurarsi di morire piuttosto che continuare a patire le pene dell’inferno amoroso. Ovviamente questo è l’apice che fortunatamente viene raggiunto solo da pochi, nel senso, esistono i suicidi causati da una storia d’amore finita, ma per carità, non facciamoli diventare un’abitudine, altrimenti la vigliaccheria trionferebbe sul coraggio di affrontare la vita in maniera matura e adulta. Evidentemente il nostro amico Will Shakespeare aveva una visione forse fin troppo tragica dell’amore, come di un qualcosa talmente alienante che l’unica soluzione per porre fine ai tormenti era morire. E infatti…Vi lascio una quindicina di minuti circa per pensare a quante storie d’amore raccontate da William Shakespeare sono poi terminate con una tragica e catartica morte…

Cosa vi dicevo? Non occorre nemmeno specificare per quale motivo in cima a tutte le liste ci sia sempre e solo Romeo e Giulietta, la più romantica storia d’amore di tutti i tempi, che però, dopo una sfrenata passione, promesse eterne e lacrime a fiumi, anzichè vederne la luce alla fine del tunnel, Will pensa proprio che non ci può essere davvero soluzione allo strazio di quei due quindicenni fulminati e anche un po’ sfigati, permettemi la licenza poetica. Ai tempi di internet, o anche solo dei telefoni cellulari, il tragico epilogo dei due amanti di Verona si sarebbe potuto risolvere con un banale sms del tipo: “Romeo, frate Lorenzo mi ha fatto bere una brodaglia che mi fa sembrare morta ma in realtà sto solo dormendo, quindi evita di passare dallo speziale e lascia stare i pugnali. Ci vediamo nella tomba di famiglia domani sera alle otto, ok? Un bacio, Giulietta”.

Per rimanere in tema di fulminati, vogliamo parlare di Amleto? Quello ha iniziato a parlare di morte dalla prima pagina, quella poveretta di Ofelia l’ha fatta andare fuori di testa con i suoi discorsi crepuscolari, lei che voleva solo andare a cena con lui e conoscere i suoi, magari sarebbe bastato anche solo un cinema. Non c’era bisogno di mortificarla così, in quel modo. Vi sembra carino andare a consigliare ad una ragazza che vi piace di chiudersi in convento per non generare altri peccatori? Nemmeno la più sagace delle donne sarebbe riuscita a leggerne il vero significato, del tipo “ho appena subito una grave perdita, scusami sono un po’ confuso, ho bisogno di tempo”. Ma di nuovo Will, per non perdere le buone e sane abitudini, decide di alleggerire l’animo straziato della giovane facendola annegare in un fiume. Mah, io piuttosto avrei convinto Amleto ad andare in terapia di coppia, magari sarebbero riusciti a risolvere anche quel piccolo problemino che aveva lui con la madre…

Otello il Moro poi li batte tutti, comportandosi come un qualsiasi bulletto da balera: ma come, al primo pettegolezzo che ti arriva all’orecchio, tu cosa fai? Gli credi e uccidi tua moglie? Ma dai, è da prima pagina del Resto del Carlino, da “Pomeriggio sul 2”, da plastico di Bruno Vespa. Un po’ di classe, caro Will, che diamine, ma dove è finito il dialogo? Il teatro è fatto di dialogo, tu sei stato e sempre sarai il re indiscusso dei drammaturghi, e quello che fai mancare tra i tuoi protagonisti è proprio un po’ di sano dialogo di coppia? Troppo facile, Will, farli morire tutti ed evitare loro l’elaborazione del lutto causato da una storia d’amore finita. Lo sai bene anche tu, fa parte della vita, aiuta a crescere, a scappare di fronte al dolore saremmo capaci tutti, chi non vorrebbe evitare le piaghe sanguinolente causate da un amore finito?

Ma non preoccupatevi, c’è chi è riuscito ad arrivare prima di Will Shakespeare a raccontare i paradossi dell’amore, e in maniera quasi profetica è stato in grado di delineare più di duemila anni fa la tipologia di maschio italiano del tipo “mordi e fuggi”. Nell’Eneide infatti, Virgilio racconta un episodio di amore finito con lui che scappa da lei dopo averle promesso amore eterno: la storia di Enea e Didone. Analizziamo in breve la loro storia: Enea arriva a Cartagine bello come il sole con la spavalderia che lo contraddistingue; Didone, che non vede un uomo da quando il fratello le ha fatto fuori il marito a Tiro, se ne innamora perdutamente. Lei sogna il matrimonio felice, lui una sveltina nella spelonca; Didone, ormai ebbra d’amore e confusa dalle pressioni di Enea nascoste da continue adulazioni e promesse di fedeltà, cede alle sue lusinghe, con la visione già proiettata sulla lista di nozze e le bomboniere da ordinare. Quali sono state le parole di Enea il giorno successivo? “Scusa, mi sa che hai capito male, io non ti ho mai detto che sarei rimasto qui per sempre, ho i miei amici che mi aspettano fuori, devo iscrivere Ascanio a scuola e poi mia madre mi ha detto che devo andare a fondare Roma”. Povera Didone, trattata come una qualsiasi sciacquetta di periferia, se solo avessi avuto la possibilità di leggere la rubrica di Barbara Alberti forse ti saresti risparmiata di bruciare viva per uno che, già ti ha propinato le stesse squallide scuse che vengono utilizzate dagli uomini ai giorni nostri per scaricare le donne: l’opinione della madre, che è sempre e comunque più importante di quella di tutte le altre donne, gli amici, i figli di precedenti matrimoni, ma soprattutto il fatto che non si capisce per quale motivo, siano continuamente fraintesi dalle loro fidanzate.

Adesso, va bene che Virgilio è un uomo e ha dovuto difendere la categoria, ma con che coraggio hai definito Enea il “pio”?

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